Simonetta Agnello Hornby


Simonetta Agnello Hornby

Avvocata Lo studio di avvocate fondato nel 1979 con la collega Levy, è stato il primo in Inghilterra a creare un settore dedicato esclusivamente alla violenza domestica e sui minori. In seguito Simonetta insegnerà diritto dei minori all’università di Leicester. Da alcuni anni è impegnata in un progetto in collaborazione con il dipartimento di Sociologia dell’università La Bicocca di Milano che Simonetta ha contribuito a finanziare con i proventi del suo libro “Il male che si deve dire” scritto in collaborazione con la professoressa Marina Calloni direttrice del progetto per il primo anno 2013.

Il primo romanzo La scrittura arriva tardi nella vita dell’avvocata Simonetta, il suo primo libro “La mennulara” cioè la raccoglitrice di mandorle come viene chiamata in Sicilia, è pubblicato nel 2002 dalla Feltrinelli. Chiedo a Simonetta: “Lei vive a Londra dal 1972, ha iniziato a scrivere nel 2000 e solo il suo quarto libro “Vento scomposto” è ambientato a Londra, mi viene da pensare che abbia iniziato a scrivere per raccontare la Sicilia, la sua terra natale” “In realtà ho iniziato a scrivere per raccontare un vero e proprio film che mi si era creato nella mente durante un volo da Londra a Palermo, infatti  se va a controllare vedrà che il libro è dedicato proprio alla British Airways”.

“La mennulara” è una bellissima e avvincente storia raccontata  sullo stile di “Rashomon” il famoso film di Kurosawa del 1950: un’avvenimento raccontato dai suoi protagonisti o testimoni si dipana lentamente sotto gli occhi dello spettatore, e del lettore, per assumere di volta in volta significati diversi e alla fine comporre un quadro in cui la verità ha un posto equivoco. “La mennulara” è il ritratto potente di una donna del popolo che vive la sua vita come domestica in una famiglia di nobili decaduti di cui contribuisce a fermarne la decadenza grazie al suo ingegno di amministratrice. La vita della mennulara viene ricostruita a ritroso partendo dalla sua morte, con cui inizia il libro, come in un mosaico, dalle testimonianze dei suoi compaesani, ne risulta il ritratto di una bambina, prima, ragazza, poi, in fine donna. 
La figura della mennulara si aggiunge ai ritratti di donne degli autori siciliani dall’Ottocento in poi, e si staglia superba in tutta la singolarità del personaggio e ingegno. Si aggiunga il gusto dell’autrice nel descrivere in dettaglio un ambiente, una cultura, una società attraverso i suoi personaggi minori, come ci hanno abituato i racconti di Camilleri, e il risultato è una lettura avvincente che coinvolge la lettrice e il lettore su piani diversi, quello emotivo e quello intellettuale della documentazione storica ed etnologica. Infatti in “la mennulara”, così come nel suo ultimo romanzo “Caffè amaro”, la storia della protagonista si accompagna alla storia della Sicilia, alla narrazione di fatti poco noti, alla documentazione di quelli invece conosciuti ma di cui mette a nudo il non bello, il non detto.

Che cos’è la disabilità Impegnata ai primi di giugno nella realizzazione di un filmato della rete televisiva Effe con il figlio maggiore George, da alcuni anni colpito dalla sclerosi multipla, si racconta l’esperienza della disabilità in un viaggio da Roma a Firenze a Genova guardando alla Storia, a come ha trattato la disabilità nelle varie epoche partendo dai Romani fino ad oggi. Simonetta della disabilità me ne parla così “ Noi in famiglia abbiamo sempre avuto molti disabili, papà era osteomelitico per cui aveva una gamba con una ferita sempre aperta, prima della scoperta della pennicilina. Sono stata allevata da una bambinaia zoppa che amai profondamente ma ci impediva di fare le cose che fanno tutti i bambini e ai nostri cuginetti e amichetti dicevamo di non correre perché Giuliana non poteva correre. Cioè non abbiamo mai chiamato i disabili con la loro disabilità. Una mia cugina di secondo grado muta, ai visitatori a pranzo dicevamo che Ninì non parlava bene, lo stesso per la prozia Marietta che era cleptomane, avvertivamo dicendo di fare attenzione che la zia prendeva le cose.”

Londra “Vento scomposto” è il quarto romanzo di Simonetta ed è l’unico ambientato a Londra, ad esso possiamo aggiungere “La mia Londra” una guida personalizzata se vogliamo della città in cui l’autrice ha vissuto per tanti anni. Il romanzo attinge direttamente alla sua esperienza di avvocato dei minori nello studio di Brixton quartiere multietnico di Londra. E’ la storia di una ricca e giovane famiglia inglese che improvvisamente si trova nell’occhio del ciclone quando una maestra accusa il padre di molestie sessuali a danno della figlia più piccola. La storia viene raccontata seguendo più voci, come in un coro polifonico, quella delle maestre, quella delle assistenti sociali, dell’avvocato, delle sue assistenti e quella del padre accusato e della madre sotto scrutinio per eventuali connivenze. Una storia inquietante dalle molte sfaccettature che ci porta a conoscere il mondo dell’avvocatura inglese e del sistema assistenziale, quello raccontato e messo sotto accusa in tanti film di Ken Loach.

Violenza domestica Con l’autrice parliamo a lungo del suo impegno per combattere la violenza domestica che nella città di Londra ha visto un significativo contenimento da quando è stato adottato il sistema messo a punto dalla ministra Baron Scotland e dettagliato nel libro “How to contrast domestic violence”. A questo proposito Simonetta ha iniziato nel 2013 una collaborazione con l’Università La Bicocca di Milano da una parte per implimentare anche nel nostro paese lo stesso metodo e dall’altra per fare ricerca. L’editore Feltrinelli ha pubblicato il libro “Il male che si deve raccontare” ed è stato poi ulteriormente coinvolto nell’iniziativa. “Baron Scotland” spiega Simonetta “ha messo a punto un sistema in cui sono stati coinvolti anche i datori di lavoro perché sono loro che possono accorgersi se una dipendente incomincia a dare segnali quali cambiamenti nel comportamento e nell’abbigliamento, assenze sempre più prolungate dal lavoro. In realtà la Scotland spiega nel suo libro come ognuna di noi può fare concretamente qualcosa per chi è vittima di violenza domestica: basta una parola offerta ad una persona che porta i guanti in una giornata d’estate per non farla sentire sola. L’isolamento è la realtà in cui vivono queste donne e di fronte ad una collega, una vicina di casa, una conoscenza casuale che vediamo triste, depressa, chiusa in sé stessa ognuna di noi può tendere una mano, abbandonare l’atteggiamento di delegare tutto ai servizi sociali, allo stato e  scegliere invece di attivarci, di farci coinvolgere.”

Intervista a Ferne Hill, Londra il 5 aprile 2017

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