Carla Vistarini: prendo la vita come va


Carla Vistarini



“Prendo la vita come va”

L’ultimo libro di Carla Vistarini "Se ricordi il mio nome"  in pochi mesi dalla sua uscita ha raggiunto le prime posizioni nelle vendite di narrativa, classifica Ibs. Secondo l'autrice, il successo è nato soprattutto dal passaparola delle lettrici e lettori che l’hanno amato, consigliato e regalato. Gli stessi fedeli lettori, e anche di più, avevano portato in classifica  il suo romanzo precedente quel "Se ho paura prendimi per mano" di cui "Se ricordi il mio nome " è, in parte,  il sequel. I protagonisti infatti sono gli stessi: una piccola bambina senza nome, travolta da un destino drammatico, che i lettori a furor di popolo hanno denominato la nanetta; lo strano, particolare personaggio che le fa da angelo custode, un vagabondo dal passato turbolento detto Smilzo;  un detective con la mania dell'onestà, una banda di pittoreschi, umanissimi comprimari e, sullo sfondo, Roma e il suo mistero.

La protagonista del tuo racconto è una bambina, una scelta che piace anche al cinema di questi ultimi anni, che ha messo i bambini al centro delle loro storie, spesso drammatiche…

“E' vero. Ma già nel cinema muto, col Monello di Charlie Chaplin, per fare un esempio, la scelta del bambino come protagonista delle storie si afferma come topos narrativo. Il fatto oggettivo che il bambino sia una creatura fragile, vulnerabile, che ha bisogno di essere soccorsa, aiuta a coinvolgere i lettori  nella storia, e permette, a chi racconta, di veicolare, tra le pieghe della narrazione, suggestioni, suspense e se si è bravi, anche  un messaggio, che sia etico, emotivo, o semplicemente letterario. Il bambino è un essere pulito, candido, non ha ancora una visione deformata dagli interessi, dalle necessità dell'esistenza, dai sentimenti negativi, come l'avidità, l’invidia, la sete di potere, che ha l’adulto. Il piccolo  guarda tutto con il suo sguardo aperto, che non è ancora diventato selettivo, guarda al bene e al male con lo stesso stupore, la stessa meraviglia. E il male visto dal bambino, che la pagina scritta restituisce all'adulto che legge, è “più male”. Come il bene è "più bene". Nel mondo dei bambini, che i "grandi"  quasi sempre hanno dimenticato, le emozioni sono travolgenti, estreme, tragiche. Come nelle favole, infatti,  dove il lupo è terrificante, la strega orripilante, la salvezza quasi impossibile, ma che ai bambini piacciono tanto, così le storie narrate attraverso lo sguardo dei piccoli per descrivere i contrasti del mondo degli adulti, piacciono tanto ai grandi."
Figlia d'arte, il padre, Franco Silva, attore, la sorella attrice col nome d’arte di Mita Medici, Carla sceglie per sé una carriera diversa. I favolosi anni '70, quelli dei suoi inizi da autrice, prima paroliera, poi sceneggiatrice e infine romanziera, sono anni  ricchi di fermenti, che la vedono giovanissima affacciarsi al mondo della musica e iniziare a scrivere canzoni. E' un ambiente effervescente dove si respira aria di libertà, di cambiamento, anche sull'onda delle contagiose novità provenienti dal mondo anglosassone, le sue mode, gli stili, i pensieri controcorrente. Carla, con gli amici teenagers dell'epoca che poi  "saranno famosi", come Renato Zero e Patty Pravo tra gli altri,  ascolta musica al Piper, il locale discoteca più all’avanguardia della capitale, e in quel tempo anche del mondo, frequentato da tutta l'elite culturale internazionale di passaggio in città, che fra quelle mura cerca ispirazioni artistiche e innovazione. La carriera di paroliera, di scrittrice di canzoni inizia così, da una gemmazione naturale che ha le radici nell’humus fertilissimo del Sessantotto romano. Riesce presto a ricavarsi uno spazio dove affinare il suo strumento creativo: la scrittura. Ed è sempre  la scrittura, declinata in tanti modi, la zattera che la traghetta poi verso ambienti artistici diversi. Dalle canzoni per Mina, Mia Martini, Ornella Vanoni, Patty Pravo e gli altri, si sposta, nel tempo, in campi diversi della scrittura e dello spettacolo. La televisione, il teatro, il cinema, il musical portano la sua firma in tante opere premiate sia dal successo di pubblico e critica, sia da riconoscimenti  prestigiosi come il David di Donatello. Carla è riuscita a rimanere sempre con i piedi per terra, mantenendo un profilo discreto, consapevole del fatto che il successo è una realtà difficile da gestire, è una prova vera e propria. Rimanere salde in sella e continuare ad avere le redini della propria vita, non è una cosa così scontata, nel mondo dello spettacolo. Nella sua lunga e fortunata carriera ha mantenuto una fedeltà interiore, un’aderenza ai suoi primi amori: la musica, la scrittura. Non si è lasciata ingannare da facili scorciatoie, da fantasiose illusioni, ha lavorato sodo, a testa bassa, con umiltà.

Guardando alla tua vita professionale, così ricca di successi in tanti ambiti diversi che vanno dalla scrittura di canzoni per i big della canzone italiana, alla scrittura delle sceneggiature di tanti sceneggiati di successo come “I ragazzi del muretto”, ai film, alla scrittura comica per Gigi Proietti e Loretta Goggi tra tanti, e poi ancora alla responsabilità  artistica di grandi eventi come il Pavarotti & Friends, il Festival di Sanremo, colpisce la tua duttilità, la flessibilità e anche l’apertura, ma conoscendo la condizione delle donne nel mondo professionale e come siano spesso costrette a giostrarsi in tante situazioni per far quadrare il cerchio, qual è il segreto di questa tua versatilità?

"Direi  la combinazione di necessità e volontà. La spinta propulsiva iniziale è stata quella di trovarmi “un posto” nel mondo, nella vita, che mi permettesse di realizzarmi e diventare adulta. È stata una mia esigenza precisa, in parte dovuta alla reazione contro la condizione di "nomadismo" in cui mi sono trovata a vivere da ragazzina, quando i miei genitori si sono separati e io ero ancora piccola, ma anche deve molto a quel tempo solare e in continuo cambiamento in cui ho vissuto la mia gioventù. Erano anni in cui una ragazza della mia generazione sentiva profondamente di voler essere autonoma, indipendente. Per soddisfare questa istanza fortissima ho cercato di cogliere tutte le opportunità che mi si presentavano, con serietà e determinazione. E’ così che sono riuscita a guadagnarmi la fiducia degli altri nel mio lavoro, a diventare concorrenziale, tanto che qualsiasi committente, fosse la Rai, un produttore cinematografico, un discografico, un autore di musica, sapeva di poter contare su di me per la qualità, la velocità, la competenza. Potevano chiamarmi anche all’ultimo momento e sapevano che  sarei riuscita a fare il lavoro, un buon lavoro, meglio di tanti altri, e sempre nei tempi stabiliti. Per tanta parte della mia carriera  questo   ha significato lavorare ventiquattro ore su ventiquattro. Ho sempre messo una grandissima energia nel mio lavoro, tutta quella che avevo, perché è lì che si gioca tutto. Molti credono ingenuamente che la creatività sia fatta di epifanie, di attimi d’illuminazione. Non è vero. E’ esattamente il contrario, c’è il cinque per cento di creatività e il 95% di puro sudore. Mi rincuorò quando anni fa trovai una risposta di Giuseppe Verdi a chi gli chiedeva che cosa fosse il genio e lui rispose: “Il genio è sgobbare". Poi per me è stato determinante essere stata fin da piccolissima una grande, accanita lettrice, e lo sono tutt’ora.

La tua cultura personale ti ha aiutata quindi.

Vivo tra i libri. La lettura, onnivora, felice, assetata, è stata la mia scuola vera, in parallelo con la scuola normale. La lettura è una maestra e una compagna di vita. Un pilastro vero. Mi viene in mente  Ray Bradbury, il grande scrittore di fantascienza. Non ebbe la possibilità di continuare le scuole dopo i 12 anni, e fu costretto a lavorare come fattorino nella biblioteca della sua città,  dove poté leggere tutti i libri che voleva. Disse poi: “I libri, la lettura sono stati la  mia scuola di vita”. E io la penso allo stesso modo: la lettura ti forma, non solo,  ti dà forza. E non importa che lavoro farai nella vita: se sei una persona che legge molto, qualsiasi sia il tuo lavoro lo farai meglio. Se ognuno di noi leggesse un libro in più, e poi un libro in più, e ancora e ancora,  sono certa che vivremmo in un mondo migliore.

Come sei approdata alla narrativa dopo una carriera spesa nel mondo dello spettacolo?

Dopo tanti anni in cui ho dato parole agli altri, attori, cantanti, comici, ho voluto finalmente essere io a parlare direttamente al pubblico. La pagina di un libro mette in contatto diretto autore e lettore, ed è una cosa fantastica. Si è trattato comunque di un passaggio non semplice, né scontato, ma segnato da incognite e sorprese. Quando completai la stesura del mio primo romanzo, ricordo che lo proposi fiduciosa a tutte le case editrici di cui riuscii a trovare l'indirizzo su internet. Scrissi una lettera in cui mi presentavo accennando al mio percorso artistico e professionale. Mi misi in attesa e... nessuno mi degnò di una risposta. Per niente scoraggiata,  mi iscrissi a un torneo letterario online, per romanzi inediti. Era il torneo "Io Scrittore" che accettava iscrizioni solo in forma anonima. E così feci. Ai blocchi di partenza c'erano 3000 romanzi per altrettanti concorrenti. Dopo varie selezioni, tutte superate dal mio romanzo, che era "Se ho paura prendimi per mano", scoprii di essere fra i dieci finalisti. Ero felicissima, ma il meglio doveva ancora arrivare. Infatti a un certo punto, non lo dimenticherò mai, mi arrivò una telefonata. Era la casa editrice Corbaccio, nella persona, anzi nella voce gentile della sua direttrice,  che chiamava per dirmi che avevo vinto il concorso, chiedendomi subito “Con chi sto parlando?”. Perché di me conoscevano solo lo pseudonimo con cui mi ero iscritta, e non il mio nome vero che potei svelare in quella circostanza. E' stata una grande soddisfazione, da non crederci. Ho provato un’emozione tale che ha fatto impallidire tutti gli altri premi della mia carriera! E stiamo parlando di diversi Telegatti, della statuetta del David di Donatello per la Miglior Sceneggiatura, e vari Premi della Critica Discografica e teatrali.

Vedi nella tua vita un “fil rouge” che l’attraversa, dei temi che ti appartengono?

Ti rispondo con una battuta. Mi viene in mente un film di Massimo Troisi in cui l’attore che gli fa da spalla gli dice: “La vita la devi prendere come viene" al che Massimo risponde "E certo, mica posso prenderla come va". Ed è vero. E' così.  Io non ho cercato affannosamente le cose, ho lasciato fluire quello che capitava, ho visto la vita come un fiume e io c’ho pescato dentro. L’importante è guardarsi attorno con occhi ben aperti. Ho scoperto nel tempo di accorgermi di quello che accade intorno, nel mondo, ma anche semplicemente nella strada dove abito, molto più di quanto non se ne accorgano gli altri. Credo di avere le famose antenne, forse. Mi accorgo delle persone, le osservo, ho un’osmosi con quello che mi circonda. L’altra cosa che mi ha sempre accompagnato è che, pur appartenendo al mondo dello spettacolo, sono sempre stata una persona “normale” senza grilli per la testa, una che si occupa della casa, che ama  la campagna e sa potare la vite, l’olivo, che ama  gli animali, che cura le piante in balcone. Fin da piccola ho capito che siamo persone sole, questo  è il nostro destino. Questa  visione  mi ha dato un certo distacco dalle cose, dalle situazioni e mi ha aiutato a sviluppare un senso dell’umorismo che poi ho usato nel lavoro quando ho scritto per i comici, i cabarettisti. Proprio questa consapevolezza della solitudine come condizione umana mi fa sentire più  unita agli altri esseri umani, me li fa sentire col cuore. E sempre da qui scaturisce questa mia voglia di farli divertire. Ma c’è anche dell’altro, il sentimento di solidarietà, di voler aiutare come posso, di essere generosa, almeno nell'elargire emozioni, quando ci riesco.

Susan Sontag diceva che la scrittura è insieme rivelazione e occultamento, e nasce sempre sotto il segno del mistero.

Per quanto mi riguarda come scrittrice, la parola occultamento esiste in quanto "nascondimento" di me, dei miei sentimenti. Quello che scrivo non parla mai di me, ma di altro e di altri. Sto molto attenta che non ci sia niente di biografico nei miei romanzi, nelle mie canzoni, nei film, mai. Anche se poi immagino che le esperienze e la vita filtrino attraverso il racconto, qua e là, pur se molto decantate, sedimentate. In modo occultato, appunto. Il mistero vero per me si manifesta quando stai scrivendo e a un tratto, senza preavviso, magicamente, la narrazione  è talmente perfetta, essenziale, pulita e logica che sembra ci sia la Musa stessa della scrittura a suggerirtela all'orecchio. Anche questo fa parte di quell’accumulo, quel nutrimento di esperienze, sensazioni, di incontri, anche i più ovvi e normali,  di cui lo scrittore ha sempre bisogno. C'è quella frase famosa di Joseph Conrad, mi pare, che dice: «Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando? »

Sei d’accordo con quelle autrici, poetesse e filosofe che affermano che una donna si muove sempre in una terra straniera?

Penso che ci sia una realtà connessa all’essere donna che viene sempre sottovalutata dalla nostra società, cioè dalla parte maschile della società, che non la sperimenta sulla propria pelle o lo fa in misura minore,  ma che invece per una donna è qualcosa che limita enormemente: e  cioè la sicurezza. La voglia, il desiderio, la necessità e il diritto alla sicurezza. La donna nasce “vigile”, è una creatura che sa, dalla nascita, che dovrà guardarsi  le spalle, proteggersi dalle volgarità, dagli sguardi indiscreti, spesso dalla violenza.  Il mondo non è un posto sicuro per le donne allo stesso modo di come lo è per un uomo. Siamo limitate negli orari, nei luoghi, nelle scelte che facciamo per non trovarci nella posizione di vulnerabilità che anche solo una strada poco frequentata può significare. O un rientro a casa dopo cena, nel buio di una periferia, o trovarsi sole in un vagone di treno, e tante altre situazioni del genere. Molte donne fanno le spavalde per negare questa limitazione alla libertà personale, ma sbagliano, perché non la dobbiamo minimizzare o negare, al contrario la dobbiamo denunciare, affinché sia chiaro che vogliamo vivere in un mondo accogliente e rispettoso. Se in Italia ci liberassimo dalle costrizioni che tengono le donne ancora poco libere, se ci fosse un vero rispetto per l'altra metà del cielo, la ricaduta positiva sarebbe tale che la società intera volerebbe in alto come un meraviglioso palloncino pieno di gioia di vivere, che si libra nell’aria, con lo slancio che gli viene dall’essersi liberato della mano che lo teneva basso.

Roma Luglio 2018

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