Una donna per le donne

 




Ester Rizzo è nata a Licata, per l'editore Navarra ha pubblicato Camicette bianche. Oltre l'8 Marzo (2014), Le 1000. i primati delle donne (2016), il suo primo romanzo Le ricamatrici (2018) e recentissimo Donne disobbedienti (2020) 

 

Ester ho visto che tu sei co-responsabile regionale dell'associazione nazionale “Toponomastica femminile” quando è iniziata questa tua collaborazione?

L'associazione ha come finalità l'intitolazione delle strade alle figure femminili non certo per un capriccio ma perché, dopo uno studio accurato, un censimento di tutti i paesi e di tutte le città d'Italia, è risultato che le donne sono solo il 4% del totale. Se poi pensiamo che di questo 4% la metà sono strade intitolate a sante e madonne e l'intitolazione alle donne reali, i personaggi storici, della cultura sono veramente poche, riteniamo quindi che questa percentuale sia veramente inadeguata e vada ridimensionata.

Tra tante collaborazioni abbiamo avuto quella di due sindaci, in due grandi città d'Italia, Palermo e Napoli, dove effettivamente ci sono state molte intitolazioni al femminile su nostra sollecitazione. È importante ricordare la donna partigiana, la letterata, la pittrice, la filosofia, la politica che sono delle donne che hanno sicuramente contribuito a migliorare il contesto territoriale in cui vivevano e anche il contesto nazionale, ma soprattutto è importante ricordarle perchè saranno un modello di riferimento per le nuove generazioni.

Tu hai iniziato a pubblicare dal 2014 e prima?

Si ho iniziato a pubblicare dal 2014, qualche anno prima a scrivere, meglio a fare delle ricerche, e di questo inizio devo ringraziare l'editore Ottavio Navarra. Il caso volle che io andassi in casa editrice mandata dalla presidente nazionale di “Toponomastica Femminile” Maria Pia Ercolini per cercare di stilare una guida turistica di genere. Non vide mai la luce. Nel momento in cui Navarra sentì la storia, raccontata da me in due articoli precedenti, di Clotilde Terranova, la vittima licatese di quello che poi è diventato “Camicette bianche”, lui mi disse: “Ma qualcuno ha scritto di queste donne? Questa è una storia completamente sconosciuta, non c'è nei musei dell’emigrazione, non c'è nei libri di storia. Se la sentirebbe di continuare le ricerche di pubblicare un libro?” Ottavio è stato un editore lungimirante se pensi che fino ad oggi il libro ha venduto 10.000 copie. È un libro che ha camminato da solo, ha camminato sulle gambe di chi l'ha letto e di chi l'ha adottato nelle scuole, di chi ha fatto mostre, fatto ricerche, adesso c'è pure un musical e una canzone di Francesca Incudine, insomma, è qualcosa che cammina da solo e dove arriverà non lo sappiamo.

Per quanto riguarda il mio rapporto con la scrittura, io ho scritto da sempre, ho collaborato con giornali online e prima con i giornali cartacei della città in cui vivo. A Palermo oltre alla facoltà di giurisprudenza ho frequentato l’Istituto Superiore di giornalismo, quindi diciamo che è stato un qualcosa che sin da ragazza coltivavo.

Man mano che il lavoro è allentato ti sei dedicata di più alla scrittura?

Sai quando si arriva a 50 anni si prendono delle decisioni. Ho iniziato a lavorare molto giovane come consulente finanziaria e nel 2014 ho deciso di restare iscritta all'albo ma di abbandonare la professione, da allora mi sono dedicata esclusivamente alla ricerca e alla scrittura.

Tu fai molta ricerca storica…

Faccio soprattutto ricerca storica. Non scrivo gialli, non scrivo romanzi, penso forse di non saperli fare, parto dagli atti, parto dai documenti e da lì continua la ricerca negli archivi, nelle biblioteche, negli uffici dei servizi demografici da cui poi faccio emergere la figura di una donna.

Una mia preoccupazione è quella di distinguermi da quegli storici che fanno le ricerche, poi le scrivono con il linguaggio dello storico. Quello che spero di fare invece è di narrare quello che ho trovato con le ricerche, in una forma semplice, fluida e divulgativa in maniera tale che il libro, pur di saggistica, raggiunga più persone possibili. Faccio queste ricerche per riportare alla luce la storia delle donne e quindi voglio veramente in maniera molto forte che tanti altri e tante altre siano a conoscenza di queste storie obliate. Le storie delle donne sono veramente delle storie dimenticate e sepolte! Anche fare ricerca in questo settore è difficile. Trovi un documento in un archivio, un altro documento dall'altra parte, un pezzettino di notizia in un giornale, un altro pezzettino in un libro, una frase qui e una frase là. È come comporre un puzzle. La storia delle donne purtroppo non ha testi compiuti che le raccontano, è una storia fatta di tanti piccoli pezzettini che tu vai a ricostruire, guidata dalla tua pazienza e dedizione.

Io che faccio ricerca mi sono data una spiegazione del perché di questo oblio. La storia delle figure femminili che emergono dalla ricerca sono delle figure femminili spesso molto forti e determinate che non corrispondono ai canoni tradizionali femminili imposti dalla società e quindi sono delle donne scomode da tramandare. Un esempio ce l'abbiamo con le 21 madri costituenti. Quando un paio di anni fa ci fu la ricorrenza dei 70 anni della Costituzione, tutti parlavano di padri costituenti, ma le madri costituenti sono delle figure eccezionali, sono delle figure che mettono in risalto la solidarietà femminile, la ricerca di giustizia, la ricerca di verità. Sono state anche donne scomode all'interno dei loro partiti ed è per questo che fanno fatica a essere ricordate. “Toponomastica femminile” ha fatto un gran lavoro per le intitolazioni alle 21 madri costituenti proprio qui a Palermo. Nel 2019 siamo riuscite ad ottenere che l’ampio anfiteatro all’interno del giardino Rosa Balistreri, fosse intitolato alle 21 madri costituenti. Ogni gradino dell’anfiteatro porta una targhetta con un QR code, che ho fatto personalmente, e racconta la storia di ognuna delle legislatrici.

Il tuo percorso di scrittrice pubblicata inizia con il libro “Camicette bianche”, come sei arrivata a questa storia?

A Camicette bianche ci sono arrivata per caso. È una storia molto strana.  Conoscevo il fatto, cioè l'incendio avvenuto nella fabbrica negli Stati Uniti dove perirono centinaia di donne immigrate, poi nel 2011 a Licata, la città in cui vivo, con un gruppo di donne abbiamo deciso di leggere l'elenco delle 129 operaie perite in quell’incendio. Essendo siciliana mi sono resa conto che tanti cognomi erano siciliani. Fino ad allora si conosceva l'identità di sei vittime siciliane, mentre le vittime italiane sono state 38, le sei erano state riconosciute perché avevano dei discendenti: tre di Marsala, una di Casteldaccia, un’altra concittadina e Clotilde Terranuova di Licata. Le ricerche sono partite proprio da Clotilde Terranova. Tutto il resto era completamente sconosciuto cioè questi nomi si erano persi dal 1911 al 2011 in 100 anni con due guerre mondiali di mezzo, però stranamente sono sempre le storie delle donne che si perdono…

Quando ho iniziato la ricerca avevo una fonte ufficiale: i certificati di morte, depositati alla Cornell University di New York, redatti il giorno dell'incendio quando andarono a identificare le vittime. Ovviamente sono dei certificati zeppi di errori perché molti nomi sono storpiati, anche la maternità e la paternità è storpiata o sbagliata, non sempre l'età corrisponde, in più erano tutti vergati a mano quindi la grafia non sempre leggibile. Sono partita da quella fonte per poi incrociare questi nomi con migliaia e migliaia di nomi nella lista di sbarco di Ellis Island. C’è solo un modo per definire tutto questo: un lavoro pazzesco. Tieni conto che lo stesso registro era fonte di errori. Ti porto un esempio: le vittime di Sperlinga io le ho trovate quasi subito sul registro di Ellis Island però dicevano provenienza Sharelinga, se io non fossi stata siciliana non sarei risalita subito a Sperlinga. Gaetana Midolo la vittima di Noto, una ragazzina di 16 anni, non riuscivo a trovarla, poi l'ho trovata nella lista degli uomini. Era stata registrata come Gaetano Midolo però i dati combaciavano con quelli dell’ufficio dei servizi demografici, io infatti prendevo un lasso di tempo di un decennio per la mia ricerca, nel momento in cui corrispondevano maternità e paternità, la vittima era identificata. Andando a ritroso potevo anche ricostruire la famiglia, di Terranova ad esempio sono arrivata a identificare pure i bisnonni.

Ho avuto un aiuto da Michael Hirsh uno studioso americano che ha ricostruito la vita di queste donne non dai certificati, come ho fatto io, ma dalle tombe. Pensa che fino al 2011 non erano state assolutamente identificate, lo ha fatto lui. Un ulteriore ostacolo, che mi ha dato davvero del filo da torcere, è stato identificare le donne coniugate, negli atti di morte sono state registrate con il cognome del marito e quindi era impossibile trovarle. Per le due sorelle lucane Isabella e Maria Giuseppa Tortorelli sono ricorsa all’aiuto del sindaco del loro paesino d’orige, Armento, quando ho telefonato si è messo a disposizione, ha fatto la sua ricerca e le ha trovate, anche perché è un paesino di 400 anime. Quindi è stato molto bella anche la disponibilità di tutti quelli che mi hanno aiutato a rintracciare questi nomi. Nel paesino di Armento, oggi, c'è una piazza bellissima fatta a scacchiera circondata tutta da murales e intitolata alle due sorelle.

Hai avuto anche delle soddisfazioni enormi.

Più che soddisfazioni penso ad un riconoscimento. È stato come far rinascere queste donne, dare loro una seconda vita. E in molti casi anche un risarcimento postumo, in fondo la maggior parte di loro erano delle giovanissime donne immigrate, coraggiose, penso a quelle dell'entroterra siciliano, saranno arrivate al porto di Palermo senza aver mai visto il mare. Hanno affidato a questo mare prima e all’oceano dopo, hanno affidato la loro vita e poi purtroppo sono morte in quel terribile incendio.

Passiamo all’ultimo tuo romanzo “Le ricamatrici” su cui ho una curiosità: è una storia che ha avuto un bellissimo inizio, perché le ricamatrici di S. Caterina Villarmosa hanno vinto la loro battaglia legale per rivendicare i loro diritti come lavoratrici, tanto che anche i giornali ne parlarono ma poi hanno avuto un secondo sviluppo negativo, allora la mia curiosità è questa: perché non hai scritto il libro sulla prima parte quella vincente e hai preferito invece raccontare lo sviluppo della vicenda che si è conclusa con una sconfitta?

Allora quello che mi ha spinto a scrivere questo libro è stata una sorta di rabbia nel constatare come questa storia fosse caduta nel dimenticatoio e non lo meritasse. La prima traccia l’ebbi in un libro preziosissimo, curato da Marinella Fiume che si intitola Dizionario biografico siciliano. Vi si trovano 330 figure di donne a cui viene dedicata una pagina, una pagina e mezzo non di più. È stato per me un punto di partenza prezioso. La vicenda di Filippa Pantano mi colpì tant'è vero che scrissi due articoli su di lei però lavoravo e non le diedi alcun seguito finchè un giorno mi dissi “Devo cercare di capirne di più”. Chiesi al tribunale di Caltanissetta i fascicoli dei processi e mi dissero che non c'era più niente perché si era allagato il locale dove si conservano. Allora mi sono rivolta all’Udi di Palermo visto che loro furono parte attiva nel processo, un grande grazie alle donne dell'Udi che hanno conservato tutta la documentazione della rassegna stampa. L'associazione di Caltanissetta “Donne in movimento” mi ha messa in contatto con le figlie di Filippa Pantano e questo mi ha messo nelle condizioni di poter iniziare a raccontare questa storia una storia che ho raccontato sotto forma di romanzo.

Veniamo al tuo libro più recente: perché hai voluto raccontare la storia delle donne disobbedienti?

Perché nel 2019 ci sono state tantissime donne disobbedienti: è emersa la figura di Greta seguita poi da tante ragazze che si sono mobilitate per l'ambiente, è emersa la figura di Olga che davanti ai carri armati di Putin ha letto, sola, la costituzione, le donne dell’Arabia Saudita hanno ottenuto il permesso di poter guidare dopo che molte di loro sono finite in prigione per le loro proteste o semplicemente per le loro dichiarazioni, lo stesso è accaduto in Iran,  le donne iraniane hanno ottenuto il permesso di poter entrare negli stadi a vedere le partite. È stato un po' un anno di disobbedienti e mi hanno fatto pensare ad altre storie in cui mi ero imbattuta negli anni che non hanno mai avuto spazio né sui giornali né nei libri, o nei documentari, nei film. Ho iniziato questa ricerca dalle donne che hanno disobbedito meno conosciute, dalle monache forzate, fino ai nostri giorni. Sono partita dai processi di smonacazione, da quelli di rottura del matrimonio, le donne disobbedienti in pantaloni per arrivare poi anche alle donne contro la ndrangheta. Anche questa è stata una scelta ben precisa: le donne contro la mafia hanno avuto spazio, conosciamo Rita Adria, Piera Aiello la cognata testimone di giustizia, Felicia Bartolotta Impastato, Francesca Serio mentre invece delle donne di ndrangheta non si parla. Inutile dire che è stata una ricerca molto ma molto difficile; mi ha avvantaggiato il fatto di essere stata al “Festival contro le mafie” di Lamezia Terme con le ricamatrici. Qui ho potuto conoscere una magistrata, Marisa Manzini[1] che ha raccontato le storie delle donne che dicono no alla ndrangheta. Sono donne che hanno un coraggio enorme. La struttura di queste famiglie è una struttura di sangue, ribellarsi significa decretare la morte di un marito, di un figlio, di un padre. Denunciare e andarsene è un processo che richiede un coraggio non da poco.

Nell'introduzione al libro tu dici che le donne hanno ancora tante strade da percorrere soprattutto le strade del cuore e della resilienza…

Il cuore rappresenta l’istinto, rappresenta anche la nostra diversità come donne rispetto agli uomini. Sicuramente siamo più portate ad occuparci dell'altro o dell'altra, siamo più concrete e abbiamo una visione un po' diversa e questo è un bene che non viene assolutamente valorizzato.

Io invece avevo pensato che resilienza e cuore sono le due strade che le donne hanno sempre percorso …

Diciamo che è stato l'unico ambito in cui ci è stato permesso di esprimerci, binari che dovevamo assolutamente percorrere…e noi invece abbiamo deviato. Alla fin fine la storia delle donne è questa: la deviazione dalle norme costituite per noi. Ecco perché la storia delle donne non è comoda da tramandare perché è una storia di deviazioni da questo pensiero, deviazioni da cliché, da stereotipi una storia che diventa appunto di resilienza.

La situazione delle donne in Sicilia come la vedi? Ci sono stati sicuramente cambiamenti in questi ultimi trent'anni. Io sono sempre un po' pessimista avendo vissuto molto all'estero le donne italiane le vedo sempre molto chiuse..

Hanno le ali tarpate. E a questa situazione se ne aggiunge un'altra, per me terribile, le imposizioni di modelli di libertà femminile che non sono vera libertà. L'emancipazione femminile è costata fatica, lacrime e lotta alle donne ma adesso viene banalizzata. Il fatto che tu possa fumare all'aperto una sigaretta, possa uscire di sera e di notte, possa andare in giro seminuda viene scambiata per emancipazione. C'è un grossissimo problema, far capire alle nuove generazioni la differenza tra emancipazione sostanziale e formale. L'emancipazione formale quando viene monopolizzata commercialmente impone la necessità di saper discernere la forma dalla sostanza. Se poi a questo aggiungiamo che non ci sono altri modelli se non quelli maschili quello che viene spontaneo chiedersi è “ma che cosa hanno fatto le donne?”

Nel volume che ho curato “I mille primati delle donne” con l'associazione “Toponomastica femminile” abbiamo voluto mettere in risalto il fatto che i diritti che oggi noi abbiamo non sono stati sempre dei diritti, lo sono oggi perché ci sono state donne disposte a lottare per essi. Noi non dobbiamo assolutamente dimenticare che il diritto all'istruzione, uno dei diritti fondamentali, è stato negato alle donne dal fascismo 80 anni fa. L’università per le donne era si accessibile ma pagavano più tasse!! Non dimentichiamoci che fino al 1963- l'anno in cui sono nato io- non potevano fare le magistrate. Ed è solo con la riforma del diritto di famiglia negli anni 70 che il reato di violenza contro le donne da reato contro la morale pubblica diventa reato contro la persona. Stiamo parlando di cinquant’anni fa, non stiamo parlando di tre secoli fa, lo stesso diritto di voto per le donne ha poco più di 70 anni. Se le nuove generazioni non conoscono questo percorso emancipatorio perchè viene sottaciuto, non gode nemmeno di una diffusione tramite la televisione, il cinema, il teatro che sono delle forme che ti possono acculturare, tra virgolette in maniera abbastanza semplice, al di là dei libri, queste sono verità-storie che non esistono o se esistono sono di nicchia. Si fanno centinaia di film inutili o sempre sugli stessi personaggi maschili e non si riesce ad avere invece una produzione di storie femminili bellissime. Bellissime si, lo posso dire, tutti mi dicono che sono bellissime le storie che racconto ma in realtà l'unica cosa che faccio è cercare di raccontare nella maniera più semplice, le storie di per sè sono già belle. Mi rammarico di non aver vent'anni adesso, sceglierei di fare la regista per poter portare queste storie a conoscenza di tutti, non lo posso fare più…. posso solo sperare nelle giovani generazioni di registe.

 

 

 



[1] ex sostituto procuratore di Catanzaro e attuale procuratore aggiunto di Cosenza, di origine piemontese, farà parte del dipartimento della Pontificia accademia mariana internazionale, organo della santa Sede, per indagare le connivenze e legami distorti tra le consorterie mafiose e la Chiesa. “La ‘ndrangheta scimmiotta molti riti della chiesa. Ci sono vere e proprie lotte tra clan per gestire le processioni. La ‘ndrangheta usa la religione in modo strumentale. ..solo la cultura  toglie terreno fertile alla criminalità organizzata.” La magistrata è stata più volte minacciata di morte dalle cosche del vibonese per le sue inchieste contro la ‘ndrangheta. 

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